giovedì 31 gennaio 2013

Palestina di Joe Sacco, giornalista a fumetti


Ho scoperto il lavoro di Joe Sacco per caso. Mi trovavo in libreria a curiosare nella sezione dedicata ai fumetti e mi è caduto l’occhio su questo volume, Palestina, situato tra i Peanuts e lo speciale di Dylan Dog. Da sempre associamo il fumetto a una fase determinata e limitata della nostra esistenza, quella composta dall’infanzia e dall’adolescenza. Pensiamo che sia una forma di linguaggio poco seria, infantile. Ebbene, forse dovremmo (io per prima) cambiare punto di vista. I fumetti infatti, sono dotati di un grande potenziale comunicativo e possono essere sfruttati in maniera proficua per divulgare anche contenuti impegnati e in maniera più immediata rispetto a quanto accada con un articolo di giornale o con un saggio.

Joe Sacco, giornalista maltese che attualmente vive e lavora negli Stati Uniti, è l’esempio lampante di questa tendenza. Palestina raccoglie i 9 volumi dedicati al viaggio dell’autore nei Territori Occupati svoltosi nell’inverno tra il 1991 e il 1992, nel periodo in cui si spegneva la I intifada.

Il fumetto permette di associare un volto ai protagonisti delle vicende narrate e al giornalista stesso che, invece di limitarsi a svolgere il ruolo imparziale di colui che registra i fatti, diviene a sua volta protagonista. Quest’opera non rappresenta l’ennesimo discorso retorico e infiorettato sul conflitto israelo-palestinese, è reale, ci mostra i volti di persone comuni e ansiose, nonostante tutto, di raccontare la propria storia.
Nel suo Omaggio a Joe Sacco, Edward Said ha scritto “I fumetti ti davano un approccio diretto (la combinazione coinvolgente e sfarzosa di immagine e parola) che da un canto sembrava incontestabilmente verosimile e dall’altro meravigliosamente tangibile, vivida e familiare". 

Lo stile è crudo, dissacrante, ironico, mette in evidenza il  contrasto tra due “universi paralleli”. C'è quello apparentemente sereno delle discoteche, dei turisti, degli ostelli, dello svago, del divertimento, dell’ordine. È sufficiente grattare un po' la superficie per scoprire l'altra realtà, quella fatta di stenti, fango, campi profughi, interrogatori, torture (ebbene sì, torture) perpetrate nel cuore dell’“unica democrazia del Medio Oriente”, irruzioni nelle abitazioni da parte dell’esercito israeliano nel bel mezzo della notte, storie di ragazzini ai quali non viene offerta nessuna concreta prospettiva e che parlano e agiscono già come se fossero adulti.  “Che razza di gente sono gli ebrei, dopo essere stati trattati in quel modo, trattano i palestinesi alla stessa maniera?” dice Sharif, un giovane incontrato al Cairo all'inizio del viaggio. Nonostante il quadro a dir poco tragico, Sacco, che sperimenta sulla sua pelle la durezza e il disagio della vita del palestinese medio, non perde il suo tagliente senso dell’umorismo e non rinuncia a mostrarci un aspetto molto importante: la voglia di rialzarsi di queste persone; la volontà di costruire un futuro, di studiare, di garantire un avvenire ai propri figli. 

Qual è l’aspetto che più colpisce leggendo queste pagine? Il disagio che diventa quotidianità. Si impara e un po’ ci si rassegna a vivere in una condizione che si pensava fosse provvisoria. Anche nelle baracche prive di acqua e riscaldamento, non si rinuncia a organizzarsi, a riunirsi per bere il tè, a chiacchierare e a festeggiare gli eventi lieti, come i matrimoni. “Soffro in cuor mio per la morte di mio figlio ma dobbiamo festeggiare questa occasione. Dobbiamo dimostrare di essere più forti”. I solchi nei tetti provocati dalle tempeste vengono riparati con teli di plastica e sacchi pieni di sassi. Si dispone di quattro pareti con un tetto di lamiera e quel luogo si chiama “casa”. L’arte dell’arrangiarsi è fondamentale. E, soprattutto, l’arabo doc non rinuncia mai al sacro dovere dell’ospitalità. Quel poco che ha lo darà sempre a te. 

L’autore non si limita a raccogliere testimonianze tra i più giovani, va alla ricerca dei pochi che ancora ricordano in maniera nitida gli avvenimenti del ’48, anno della fondazione dello stato di Israele e del primo dei conflitti arabo-israeliani. Gli intervistati descrivono il profondo senso di sradicamento dovuto all'abbandono forzato della propria terra e il trauma del ritorno, anni dopo,in un campo desolato, laddove un tempo si trovavano la propria casa e gli ulivi. Non mancano le testimonianze di coloro che hanno passato settimane, mesi o anni nella famigerata prigione Ansar III.

Non so voi, ma io dopo aver letto un libro ho sempre voglia di vedere il volto dello scrittore e di sapere come parla e gesticola. Per questo ho deciso di inserire questo video in inglese sottotitolato in portoghese. Joe Sacco parla del suo particolarissimo lavoro spiegando il proprio punto di vista.



Per concludere, consiglio vivamente di leggere Palestina. Io sono già pronta a leggere Reportages e Gaza 1956. E voi?

Per saperne di più sulla storia della Palestina del ‘900 e avere una visione d'insieme completa, consiglio invece il libro Storia della Palestina Moderna, pubblicato nel 2004, scritto da Ilan Pappé, un professore universitario israeliano che scrive in maniera veramente chiara, esaustiva e scorrevole. 

Segnalo che a breve inserirò una nuova pagina nel blog: Letture. Si tratterà di una bibliografia in continuo aggiornamento per chi avesse voglia di approfondire gli argomenti di cui scriverò.
Nel caso in cui doveste avere curiosità, suggerimenti, domande, qualcosa da dire su Joe Sacco, lasciate un commento oppure scrivetemi, sarò contentissima di rispondere.

Nessun commento:

Posta un commento